Piccole vittorie: e se la trasformazione del mondo cominciasse da… voi?

transformation petites victoires

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Di Philippe Silberzahn, pubblicato il 22 marzo 2021 su HBR France.

transformation petites victoires
© GETTY IMAGES

Se i grossi problemi rimangono, è perché le grandi soluzioni non funzionano e non sappiamo come mettere in atto le piccole soluzioni.

La nostra epoca non ha mai avuto tanto bisogno di cambiamento, e non siamo mai apparsi così impotenti di fronte alla nostra incapacità di cambiare. Spesso, tuttavia, non è per mancanza di tentativi.

La guerra contro la droga negli Stati Uniti è iniziata in fanfara dal presidente Richard Nixon nel 1970. Nonostante dei mezzi colossali, circa 10 miliardi di dollari all’anno di spese dirette (ma molto di più se si contano le spese indirette), l’ONU ha finito per riconoscere ufficialmente, nel 2016, che questa guerra è stata un fallimento dalle conseguenze sociali disastrose. Dagli studi televisivi ai consigli d’amministrazione, dall’ENA (ndt Ecole Nationale d’Administration) alle scuole di commercio, dal governo alle ONG, è comunemente accettato che solamente un approccio deliberato, vuol dire un’azione pianificata su larga scala, permette di risolvere un grande problema, attraverso un “grande piano”, o altri eventi di dimensioni significative. Ora più la situazione è complessa, meno l’approccio funziona. Bloccati dalla volontà di fare le cose in grande, i dirigenti sono impotenti e sembra possa rimanere, per quelli che vogliono cambiare, solo la violenza, rifugio nel “mondo di domani” idealista e astratto, oppure la rassegnazione.

Da molto tempo però, una ricca corrente in sociologia, in scienze politiche e in teoria delle organizzazioni difende l’idea di un approccio incrementale del cambiamento, a piccoli passi e a scala locale. Questa corrente a mostrato come i problemi più complessi si risolvano al meglio organizzando una serie di piccole vittorie, le sole accessibili ai singoli. La loro successione costituisce una base solida che si rinforza progressivamente, limitando i rischi, dissuadendo gli oppositori e unendo gli indecisi in favore del cambiamento. Questa corrente si è rinnovata a partire dagli anni 2000 con l’entusiasmo delle grandi organizzazioni per l’imprenditorialità, nella quale hanno visto una maniera di reinventarsi.

Quattro caratteristiche concrete

Concretamente, una piccola vittoria ha quattro caratteristiche: costituisce un risultato “tangibile”, “completo”, “implementato in maniera collettiva” e d’”importanza moderata”. “Tangibile” e “completo” significa che deve esserci un cambiamento effettivo nella vita dell’organizzazione, come un nuovo modo di lavorare; “implementato in maniera collettiva” significa che la trasformazione può essere effettiva solo se si basa sull’impegno degli stakeholders, perché si tratta di risolvere dei problemi sociali, non individuali. Infine, “importanza moderata” è il significato stesso della piccola vittoria: si tratta di ridurre l’ambizione dell’azione al punto in cui rappresenta un rischio accettabile.

Nonostante un interesse regolarmente rinnovato per l’approccio incrementale e numerosi successi concreti, l’approccio deliberato rimane comunque molto dominante nelle nostre modalità d’azione. Quando viene tentato, l’approccio incrementale spesso si esaurisce dopo un certo periodo di tempo e non riesce a risolvere il problema per cui è stato utilizzato, ma senza sapere bene il perché. I grandi problemi rimangono perché le grandi soluzioni non funzionano e non sappiamo implementare le piccole soluzioni, da qui i bloccaggi che osserviamo oggi a tutti i livelli – nelle aziende come nella società.

Trasformare i modelli mentali

La nostra esperienza con team di dirigenti in progetti di trasformazione e d’accompagnamento d’innovatori e imprenditori da molti anni suggerisce che l’approccio incrementale fallisce per due ragioni: la prima, perché non identifica l’origine del bloccaggio che pretende risolvere. Si condanna quindi a rimanere in periferia, a non toccare il cuore collettivo: lo sforzo è superficiale. La seconda, perché, essendo puramente individuale, non permette alle diverse iniziative di aggregarsi in un tutto coerente al servizio di una trasformazione voluta: lo sforzo è disperso. Bisogna quindi identificare l’origine del bloccaggio e definire un principio guida.

L’origine del bloccaggio di un’organizzazione, sono i suoi modelli mentali, le convinzioni costruite col tempo su sé stessi e sul proprio ambiente. Sono i modelli mentali che determinano le decisioni prese dalla collettività. Per trasformare questa collettività, bisogna trasformare i propri modelli mentali. Il principio guida è il modello mentale target a cui miriamo. E quello che permette di scegliere le piccole vittorie e di aggregarle in modo coerente in modo tale che il cambiamento, piccolo all’inizio, finisca per avere un grande impatto.

Così, questa grande azienda industriale vedeva, anno dopo anno, i suoi costi di struttura aumentare, fino a metterne a rischio la competitività. La diagnosi era quella di una burocrazia in crescita di cui tutti i collaboratori si lamentavano, ma tutte le iniziative di semplificazione fallivano, senza che se ne capisse il perché. Un lavoro sui modelli mentali a permesso di mettere in evidenza una convinzione profonda che era: “un manager deve avere la risposta a tutto”. Era un po’ sorprendente in questa società dove ma maggioranza dei manager sono degli ingegneri. La moltiplicazione delle procedure veniva dalla paura collettiva di un incidente industriale e da quella, individuale, di esserne designato come responsabile. Questo portava i manager a formalizzare tutto e a deresponsabilizzarsi sui loro colleghi, per evitare di prendere dei rischi e questo per un numero sempre maggiore di decisioni. È quindi su questa esigenza di perfezione e non sulla burocrazia stessa, che si è dovuto lavorare e sulla convinzione che una procedura riduce il rischio, che non è per forza di cose vero. Alcuni manager volontario hanno, ciascuno individualmente, identificato un piccolo progetto in cui potevano prendere in considerazione la riduzione delle procedure. Qui, il filo conduttore delle piccole vittorie era la nozione di rischio e quella di fiducia con, sullo sfondo, la ridefinizione di cosa sia un manager.

Creare un impatto collettivo

Identificare il modello mentale bloccante, concordare con uno stakeholder su un modello alternativo che fungerà da principio guida, considerare un’azione a basso rischio con loro su questa base, poi capitalizzare con un nuovo stakeholder se funziona, oppure provare qualcos’altro se fallisce, ecco la chiave di un approccio per piccole vittorie. Questo aspetto sociale, cioè agire con qualcun altro sulla base di convinzioni alternative, è ciò che permette l’aggregazione di piccole vittorie, in altre parole, la creazione di un impatto collettivo maggiore della somma delle singole azioni. E così che una piccola vittoria diventerà grande. Con le piccole vittorie, non c’è bisogno di aspettare un piano o una visione: la trasformazione del mondo può semplicemente iniziare da voi.

Philippe Silberzahn

Professore associato all’EM di Lione, ex imprenditore, oggi lavora con grandi aziende sui temi d’innovazione e trasformazione. È l’autore di sei libri su questi temi, tra cui “Effectuation” che ha ricevuto il premio per il miglior libro di management, assegnato da Consult’in France. È anche co-autore, con Milo Jones, di un libro sulle sorprese strategiche intitolato “Constructing Cassandra: Reframing Intelligence Failure at the CIA, 1947-2001”, pubblicato dalla Stanford University Press nel 2013. Potete seguirlo su Twitter: @phsilberzahn.

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